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Troppo qualificati (in inglese dotati di 'overeducation'). E, perciò, con minori opportunità professionali, al punto da essere spesso indotti ad accettare mansioni che richiedono livelli di istruzione più bassi, pur di avere uno stipendio. Cresce in Italia il fenomeno del sotto-inquadramento, come evidenziato dal rapporto sul mercato del lavoro del 2010-2011 del Cnel, presentato nei giorni scorsi, a Roma: dal 2007 allo scorso anno, il gruppo delle attività lavorative non qualificate è lievitato, raggiungendo il 10,4% dell'occupazione totale (era all'8,8%), mentre il peso delle professioni intellettuali e dirigenziali è passato dal 15,1 al 14,2%, e peggio è andata a quelle tecniche, con una discesa dal 22,2 al 20,3%.
Sebbene il dossier riveli che le imprese denuncino spesso una carenza di personale con determinate, preziose competenze, è altrettanto palese che, a fronte di un aumento di giovani in possesso di una laurea (non sempre, purtroppo, quella richiesta dal mercato), e 'con una conseguente aspettativa di un lavoro di qualità, non è cresciuta in modo corrispondente l'offerta di impiego' per chi è uscito da un ateneo; ciò avviene sia, ovviamente, a causa degli effetti nefasti della crisi economica, sia perché il sistema produttivo dello Stivale risulta basato in buona parte sulle pmi, che 'solo raramente manifestano, nelle ricerche di nuove unità, una preferenza per i laureati'.
L'occasione è buona, secondo il Cnel, per riflettere da un lato sul valore del nostro sistema d'istruzione, dall'altro sulla tendenza che vede i ragazzi italiani arrivare, nella maggioranza dei casi, a terminare il percorso universitario intorno ai 24 anni mantenuti dai propri genitori, e senza vantare una qualunque esperienza da poter descrivere in un curriculum. Il numero di persone giovani dotate di un titolo di studio superiore e impegnate in incarichi di alto livello è, inoltre, destinato progressivamente a crescere con l'età del professionista.
È la prova di una tendenza consolidata nel tempo, e che non fa onore al nostro Paese, ossia che buona parte delle posizioni più qualifi cate si raggiungono più per l'anzianità di servizio, che non per la preparazione frutto dell'iter studentesco: l'Italia, dunque, non è un Paese per giovani, poiché appare ancora arduo scalare le vette gerarchiche di un'azienda esclusivamente per ragioni meritocratiche. Il rapporto tira così le somme: 'un eccesso di istruzione potrebbe compensare la mancanza di competenza' e, così, il sotto-inquadramento farebbe parte del naturale processo di transizione dalla scuola al lavoro.
La spiegazione convince, ma non del tutto, perché molti under30 sono stati persuasi dai familiari a raggiungere uno status social-professionale più elevato, o sullo stesso loro livello, a cui non è scontato coincidano adeguate chance occupazionali. Qual è il rischio di questo 'corto circuito'? Che le novelle generazioni, insoddisfatte per l'offerta italiana, vadano ad ingrossare le fi la di quella fuga di cervelli all'estero che per l'Italia rimane una sonora sconfi tta.
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titolo: Troppo qualificati. E disoccupati
autore/curatore: Simona D'Alessio
fonte: Italia Oggi
data di pubblicazione: 17/07/2011
tags: cnel, dossier, istruzione, sistema universitario, qualificazione, disoccupazione
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