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L'assalto di Confindustria alle professioni ha mancato, per ora, il bersaglio. Ma ha raggiunto comunque il risultato di chiudere in un angolo il mondo degli ordini. La cittadella dei 'privilegiati' è assediata, e la sua caduta sembra ormai solo una questione di tempo. Ricapitoliamo brevemente i fatti. Nelle bozze del decreto legge sulla manovra, compare, a sorpresa, un articolo che di fatto abolisce gli ordini professionali. In seguito alle proteste dei diretti interessati, viene prima modificato, poi stralciato. Ma Giulio Tremonti, nella conferenza stampa di presentazione della manovra, promette che la riforma si farà, si tratta solo di trovare il momento adatto.
Dopo un paio di giorni l'Italia si trova sotto il tiro dei mercati finanziari, la situazione si fa critica, maggioranza e opposizione decidono di dare un segnale e di approvare in pochissimi giorni la manovra correttiva. Tra i pochi emendamenti che saranno inseriti rispunta l'abolizione degli ordini. In pochi minuti al senato si mobilitano gli avvocati del Pdl minacciando di non votare la fiducia. Tremonti minaccia le dimissioni. Interviene Schifani. Si trova un compromesso con una norma pasticciata, incomprensibile, inattuabile. Ma tutta la stampa, istigata dalle dichiarazioni al vetriolo di Emma Marcegaglia, si scatena contro la lobby dei professionisti, la nuova 'casta' che, pur di difendere i propri privilegi, non ha esitato a mettere il paese a rischio di default.
Scende in campo anche la Cgil. Tutti sotto le bandiere delle liberalizzazioni, del mercato, della libertà di accesso dei giovani, dello sviluppo economico. Balle.
L'abolizione degli ordini non farà aumentare il pil, non creerà posti di lavoro, non faciliterà l'accesso dei giovani alle professioni anche perché molte sono già sature e per le altre non esistono barriere all'ingresso se non capacità personale e impegno.
Il vero obiettivo è l'interesse di Confindustria a entrare in un mercato, quello dei servizi professionali, che si presenta allettante. L'esperimento dei Caf, i Centri di assistenza fiscale, può dirsi riuscito: i sindacati, in difficoltà nel loro campo, si sono riconvertiti come fornitori di servizi professionali di bassa gamma. Ora si vuole ripetere l'esperimento più in grande. Ma c'è l'ostacolo degli albi, della personalità della prestazione professionale, della resistenza di un mondo che non vuole cedere il passo perché è radicato da secoli nella realtà produttiva italiana, fatta di miriadi di piccole e medie imprese, di rapporti di fiducia consolidati, di relazioni umane che vanno anche oltre il business.
L'industrializzazione dei servizi abbasserà i costi? Può darsi: intanto però il panino (personalizzato) che mi servono al caffè del Duca, a cento metri dalla redazione di ItaliaOggi, mi costa 4 euro (assieme a una bottiglia di minerale, un caffè e una spiritosaggine di Fausto), il Big Mac menu, 50 metri più avanti, costa 5,90 e lo forniscono insieme a un buongiorno stereotipato.
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titolo: Assalto alle professioni
autore/curatore: Marino Longoni
fonte: Italia Oggi
data di pubblicazione: 18/07/2011
tags: confindustria, sindacato, riforma professioni, liberalizzazioni
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