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Nuove professioni, new business?Il 2012 è stato un anno importante per il mondo delle professioni. Il Parlamento ha approvato tre leggi destinate a incidere in profondità su questa componente del tessuto economico italiano: la riforma generale delle professioni ordinistiche del 15 agosto, il riconoscimento delle professioni associative del 19 dicembre e la riforma forense del 21 dicembre. Leggi dal segno contrastante: se la prima e la seconda si sono mosse – pur con una serie di vincoli e limitazioni – secondo principi ispiratori di carattere “concorrenziale”, la riforma forense ha fatto da contrappeso smentendo alcuni degli aspetti più innovatori della riforma generale approvata solo quattro mesi prima.

Dopo aver dedicato nel corso del 2012 una serie di riflessioni alle due leggi di ambito ordinistico, la Harvard Business Review vuole ora concentrarsi sulla riforma delle “nuove” professioni (legge 4/2013, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 26 gennaio 2013), parlandone con Angelo Deiana che, nella sua veste di presidente del comitato scientifico del Colap (il coordinamento delle associazioni professionali), è stato uno dei protagonisti della lunga battaglia sia culturale sia politica che ha portato all’approvazione della legge.

Si tratta di una regolamentazione “leggera” che contribuisce sia a far emergere le nuove professioni e le loro associazioni professionali, sia a informare e tutelare l’utente sulla qualità delle relative prestazioni attraverso processi trasparenti di concorrenza. Lo scopo principale è dunque quello di attuare processi di auto-regolazione associativa, individuando anche standard di qualità che consentano agli utilizzatori di essere il più consapevoli possibile quando scelgono una prestazione. Ne deriverà – e questo è un aspetto importante dall’angolo visuale di HBR – un processo di crescita della cultura organizzativa e manageriale delle strutture associative delle “nuove” professioni.

La professione potrà essere esercitata in forma individuale, associata, societaria o come lavoro dipendente. Le associazioni pubblicheranno sui propri siti web, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità, gli elementi informativi che presentino utilità per il consumatore (individuo o impresa). Nel caso in cui autorizzino i propri associati a utilizzare il riferimento all’iscrizione quale marchio di qualità, le associazioni devono rendere disponibili a tutti anche le informazioni sul significato e sui criteri di attribuzione dei marchi e degli altri attestati. Aumenterà pertanto la trasparenza attraverso la possibilità di comparare livelli e standard professionali.

Abbiamo chiesto ad Angelo Deiana se in questo nuovo contesto nascerà un filone di formazione specifica. A suo parere «le associazioni dovranno gestire, direttamente o indirettamente, la formazione permanente degli iscritti, promuovendo forme di garanzia a tutela dell’utente come l’attivazione di uno sportello per i consumatori. Tale necessità contribuirà alla progressiva strutturazione e formalizzazione, interna e/o esterna, dei processi formativi non solo sulle competenze verticali ma anche su quelle orizzontali».

Molto probabilmente oltre a quello della formazione si svilupperà un secondo business parallelo, quello delle certificazioni, dal momento che la legge introduce un sistema di attestazione e certificazione di questi “nuovi” professionisti. Nel caso delle attestazioni, la norma riconosce alle associazioni la possibilità di rilasciarle ai propri iscritti, così da garantire standard qualitativi, regolare iscrizione del professionista all’associazione, possesso della polizza assicurativa ecc. tutelando, nel contempo, i clienti e la trasparenza del mercato. Ne dovrebbe derivare, afferma Deiana, «una predilezione a scegliere il professionista in possesso di attestazione associativa piuttosto che colui che ne sia del tutto privo». La legge offre altresì la possibilità di far certificare la conformità dei singoli professionisti, anche non iscritti, alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.

Sono immaginabili, dunque, a parere di Deiana, tre livelli di professionisti: «Coloro che non possiedono alcuna attestazione o certificazione; coloro che sono attestati dall’associazione di riferimento; e, infine, coloro che, oltre a essere associati, possiedono anche la certificazione rilasciata dagli enti certificatori accreditati da Accredia. E, dunque, anche se la legge non modifica la natura esclusivamente volontaria della certificazione, appare chiaro che offre la sponda per una forte crescita del business della certificazione “onerosa” delle persone».

Chi si occupa di formazione e di certificazione ha già capito che si sta aprendo un nuovo, interessante e potenzialmente grande mercato, che potrebbe almeno in parte compensare la caduta strutturale della domanda dei settori maturi. New business in vista. Forse.

titolo: Nuove professioni, new business?
autore/curatore: Francesco Bogliari
argomento: Professione
fonte: Harvard Business Review, marzo 2013, p. 99
data di pubblicazione: 09/04/2013
keywords: riforma professioni, colap, certificazione uni, attestazione, associazioni professionali

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