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Counseling Day 2023


 
E manovra sia!Sono stati dieci giorni di fuoco, quelli che si sono conclusi con l'approvazione di una manovra finanziaria che dovrebbe porre a riparo l'Italia dalla speculazione. Sarà davvero così? L'anno scorso, mentre i tedeschi deliberavano una manovra da 80 miliardi di euro (noi no, non ne avevamo bisogno) chi parlava di crisi era additato al pubblico ludibrio come anti italiano. Ora il PIL tedesco va al 3%, noi siamo all'1% scarso. A marzo il Governo negava la necessità di una manovra: addirittura, dopo Pontida, Tremonti venne attaccato dal suo amico Bossi perché teneva troppo stretti i cordoni della borsa, tanto che si parlava di spese straordinarie a favore di ben definite categorie, prevalentemente localizzate al Nord. A fine giugno si è iniziato a parlare della necessità di una manovra da 40 miliardi di euro, quasi per intero da reperire nel 2013 e 2014. La manovra approvata sfiora gli 80 miliardi di euro.

Forse, qualche errore di programmazione vi è stato.

I tagli decisi gravano per grande parte sulle fasce più deboli e lasciano del tutto indenne la politica. Non ci vogliamo aggiungere alla disapprovazione che nasce da tutto il Paese per l'insensibilità che la 'casta' ha dimostrato nell'occasione, non perché non la condividiamo, anzi, ma perché non può sfuggire a nessuno che i mancati tagli sono dovuti a una tristissima considerazione di realismo politico: se Berlusconi e Tremonti li avessero proposti, la manovra non sarebbe passata.

È l'ultimo atto di un Parlamento di indicati che, con l'acquisizione dello scranno, hanno 'svoltato'; è l'indice del decadimento del paese e dell'avvitamento delle sue principali istituzioni. Qualcosa occorrerà inventarsi prima delle prossime elezioni per rigenerare il personale politico. La politica della negazione della crisi ha fatto si che, nel frattempo, il debito pubblico, che Tremonti aveva trovato a 1.680 miliardi di euro, sia arrivato a sfiorare i 1.900 miliardi di € e il differenziale con i bond tedeschi sia passato da 100 a 300, il che vuol dire un maggior costo per il solo servizio del debito dell'anno prossimo, quando scadranno circa 200 miliardi di BOT, di quattro miliardi di euro. E si, qualche errore di valutazione c'è stato! Draghi ha detto che il pareggio di bilancio previsto per il 2014 si potrà raggiungere o aumentando le tasse o con tagli alle spese. Dato che le tasse sono già al livello massimo, non si potrà fare altro che tagliare le spese, il che vuol dire, inevitabilmente, interventi che deprimono i consumi e quindi il PIL, che già non brilla per la crescita. Il solo modo per evitare che il Governo del 2014 sia costretto ad attuare una manovra depressiva è prendere ora provvedimenti che diano impulso all'economia: i due anni di dilazione che ci siamo presi darebbero a quei provvedimenti il tempo di produrre i loro effetti, così da attenuare le conseguenze negative degli inevitabili tagli alle spese.

È in conformità a questa considerazione che il Ministero dell'Economia ha previsto una pluralità di provvedimenti orientati alla crescita:
  • la tassazione agevolata dei compensi ai lavoratori dipendenti per aumenti della produttività;
  • un regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile;
  • la razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti;
  • misure per la liberalizzazione del collocamento;
  • incentivi per la realizzazione della banda larga;
  • interventi per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese;
  • il potenziamento delle infrastrutture ferroviarie recuperando i finanziamenti non andati a buon fine negli anni precedenti;
  • la creazione di una società per la valorizzazione del patrimonio immobiliare;
  • semplificazioni e risparmi per espropriazione per pubblica utilità;
  • il riordino dell'ANAS con l'obiettivo di ottimizzarne la gestione;
  • disposizioni per aumentare l'efficienza del sistema giudiziario e tributario;
  • etc.
C'erano, poi, anche norme che prevedevano interventi di liberalizzazione importanti sul sistema delle professioni. I commentatori più accreditati ritengono che si tratti di misure largamente insufficienti per stimolare la crescita economica e quindi che la manovra sia del tutto insufficiente: presto occorrerà farne un'altra! Noi siamo in grado di valutare l'efficacia solo del provvedimento della riforma del sistema professionale al quale associamo, giacché ne è inevitabile corollario, quello della normazione delle associazioni professionali. La creazione di un efficiente sistema di regole, su base duale, tese ad aumentare la concorrenza nel sistema delle professioni ha una valenza strategica di stimolo dell'economia tanto da poter può valere circa mezzo punto di PIL, come ci è stato di recente ricordato dall'Europa. Non è quindi misura di poco conto.

Naturalmente tutti coloro che sono stati, o si sono sentiti, colpiti dai provvedimenti della manovra si sono lamentati. Nessuno è stato ascoltato, tranne i gestori del sistema delle professioni: la disposizione che li riguardava è stata immediatamente accantonata, alla faccia dei poteri forti che sarebbero dietro il provvedimento. In sede di dibattito in Commissione bilancio dal Senato, su proposta del PD, è stato ripresentato e approvato il provvedimento sulla liberalizzazione delle professioni. Nella notte tra il 13 e il 14 luglio, forse memori di un'altra fatidica notte di 222 anni prima (ma cambiando solo il grido che non era più 'libertè, fraternitè, egalitè' ma 'guai a chi tocca gli avvocati'), il PDL ha generato un nuovo partito forte di 22 senatori che, senza neppure la necessità di modificare la sigla (Partito Dei Legali) ed incurante del monito del Presidente Napolitano e dei suggerimenti della Merkel, ha promesso di far saltare il banco se l'emendamento non fosse stato ritirato.

Consultazioni febbrili e il testo è stato modificato facendo salve le riserve per le professioni con esame di Stato e congelando le altre per otto mesi, durante i quali verranno formulate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi ma con la previsione per la quale diverranno liberi gli atti di professione che non saranno espressamente riservati.

Le dichiarazioni contro la manovra dei gestori del sistema delle professioni hanno riempito i giornali e di alcuni politici in cerca di facili consensi. Tutti hanno lamentato il metodo: non siamo stati consultati, le riforme si fanno assieme ai tavoli di concertazione, è il tradimento di ogni promessa del passato. Altri hanno minacciato manifestazioni di piazza ed hanno sostenuto con sicumera che la deregulation gioverà solo alla grande impresa, porterà danni ai cittadini, decadimenti della qualità dei servizi professionali e, con l'ingresso dei capitali nelle professioni, rischi di infiltrazione della malavita organizzata. Altri ancora si sono dichiarati indisponibili a ragionare con un governo inaffidabile. Da quanto si è letto, si può dire che nessuno ha neppure tentato di capire le ragioni del Governo. E questo prova che sono loro i veri poteri forti di questo Stato. Hanno davanti un esecutivo amico che li ha sempre vezzeggiati, arrivando a proporre una scandalosa riforma dell'avvocatura; che ha sostenuto in Commissione giustizia posizioni da loro imposte, anche se al limite del ridicolo, come quella per la quale, per essere definita intellettuale, una professione deve essere collegata all'esame di Stato; che, disattendendo una Legge della Repubblica, non firma i decreti di indicazione delle associazioni professionali. Quest'esecutivo si trova costretto a contraddire la principale promessa fatta agli elettori, il taglio delle tasse, e invece di cercare di capirne le difficoltà, eventualmente suggerire migliorie, ne impone la ritirata, forti della presenza maggioritaria di parlamentari iscritti agli ordini. E si, qualcosa occorrerà inventarsi prima delle prossime elezioni per rigenerare il personale politico.

Noi, che forse più di chiunque altro in Italia, dal 1985, pur iscritti ad un ordine, ci troviamo costretti a combatterne i vertici, prima perché si opponevano alla legalizzazione delle società d'ingegneria, aggrappandosi alla legge in difesa della razza promulgata dal governo Mussolini, ora perché si oppongono alla normazione delle associazioni professionali, benché convinti che il sistema ordinistico abbia fatto il suo tempo, non ne abbiamo mai chiesto l'abolizione.

E questo per due motivi: primo, perché non è buona politica combattere contro chi è più forte di te secondo, perché se ben riformati, possono ancora svolgere un ruolo utile al Paese. Il problema che abbiamo dinanzi, però, è proprio questo: gli ordini non vogliono farsi riformare. Quando dichiarano di essere favorevoli, lo fanno con la riserva mentale di chi pensa a nuove norme tese ad aumentare la autoreferenzialità e le riserve, i poteri sugli iscritti obbligatori e all'esterno. La prova, se ne fosse bisogno sono quindici anni di tavoli di lavoro, quindici anni di consultazioni e di tentativi di riforma, che hanno condotto al nulla. La prova è, ancora, la proposta di riforma confezionata dall'avvocatura: invenzione della riserva della consulenza legale, autodeterminazione delle specializzazioni rilasciate dagli stessi ordini, blocchi all'ingresso, etc.

E allora tutte le dichiarazioni che i vertici degli ordini hanno rilasciato suonano false, demagogiche. Come puoi lamentarti di non essere stato consultato, se quando lo sei stato, non hai mai dato prova di sederti ad un tavolo per raggiungere l'obiettivo, ma solo per allontanare il più possibile il suo raggiungimento (resistere, resistere, resistere). Come puoi essere credibile quando usi argomenti, come il rischio d'infiltrazione della malavita organizzata nelle professioni se si autorizza l'ingresso dei capitali, che venti anni fa venivano agitati contro la legalizzazione delle società di ingegneria e che si sono dimostrati totalmente falsi. Come puoi continuare ad affermare che l'ordine garantisce la qualità delle prestazioni, quando sai benissimo che l'ordine oggi non ha alcuna possibilità di incidere sulle conoscenze del singolo professionista ed è dimostrato che l'Italia, pur con il massimo di norma, ha la qualità più bassa d'Europa. Sono frasi in libertà che possono convincere, forse, la massaia di Voghera, non chi conosce a fondo il sistema ordinistico.Non vi è quindi altro modo per riformare gli ordini che agendo d'imperio, anche se così si può esagerare, come probabilmente aveva fatto il Governo nell'occasione, ma ha lanciato un macigno nello stagno; ha mosso le acque.L'augurio è che il messaggio sia arrivato e da domani si cambi registro. La norma, che è diventata legge, lascia ampio spazio di manovra.

Ci sono otto mesi per formulare proposte in materia di liberalizzazione dei servizi. Se li usassimo bene, senza fare barricate ma prendendo atto che esiste un sistema articolato di professioni e di professionisti, se ci convincessimo che è utile al Paese che tutte le conoscenze contribuiscano a creare un maggior valore aggiunto ai nostri prodotti, sarà possibile raggiungere l'obiettivo dell'aumento del PIL, senza inutili penalizzazioni per i singoli professionisti.

A nostro avviso la strada è già tracciata, proprio dai riscontri dei tanti tavoli aperti in questi anni:
  • L'esercizio delle professioni viene assoggettato alle regole della concorrenza.
  • Gli ordini professionali vengono ricondotti al progetto originario per il quale furono creati: accertatori del possesso della conoscenza di base per l'esercizio di una attività costituzionalmente protetta, magistratura speciale per il controllo del comportamento etico del professionista.
  • Per gli ordini che non hanno esame di Stato o che non incidono su attività costituzionalmente protetta, viene meno l'obbligo d'iscrizione.
  • Accesso per i professionisti, con particolari facilitazioni per i giovani, agli strumenti di competizione veri (multidisciplinarietà, pubblicità, marketing, compensi a forfait 'all inclusive' per servizi intellettuali complessi) finalizzati ad aggredire le quote di mercato dominanti dei grandi studi professionali. I quali, a ben vedere, lavorano sempre per le grandi imprese ed hanno costi sempre troppo onerosi per piccole e piccolissime imprese.
  • Normazione delle libere associazioni professionali, quelle ben strutturate, con statuti democratici, senza fine di lucro, con una chiara identificazione delle attività professionali di riferimento, con un codice etico adeguato ed applicato, iniettando così il vero virus della competitività nel sistema professionale, che devono essere ammesse al rilascio degli attestati di competenza sia per le attività professionali per le quali vi è libertà di esercizio che per le specializzazioni delle attività professionali già regolate in ordine. In questo secondo caso i soggetti percettori degli attestati essere iscritti all'albo professionale e devono seguire le regole deontologiche fissate dagli ordini di appartenenza.
  • Annullamento delle limitazioni all'esercizio della professione sotto forma societaria che costituirebbe la norma finale, di 'non ritorno' del processo competitivo: così come le piccole e medie imprese sono il sistema cardiovascolare del sistema imprenditoriale, le associazioni professionali e le società multi-professionali sono il sistema nervoso della capacità competitiva della nostra rinnovata economia.
Che dire di più? Attendiamo con ansia e speriamo che il futuro sia migliore del passato...

titolo: E manovra sia!
autore/curatore: Giuseppe Lupoi
argomento: Economia
fonte: Mondo Professionisti
data di pubblicazione: 18/07/2011
keywords: ordini professionali, liberalizzazioni, associazioni di categoria, esame di stato, tutela, riforma professioni

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