|
|
|
«Ci manca solo la Nato». La battuta circola da alcuni giorni tra i presidenti dei vari Ordini professionali. Un’ironia amara, scatenata dall’annuncio del ministro dell’Economia di affidare la discussa liberalizzazione delle professioni ad una «attività preliminare di studio» aperta a «tutte le organizzazioni internazionali». «Abbiamo sentito l’Ocse, l’Fmi e la Commissione europea», annunciava Tremonti durante la conferenza stampa di presentazione della manovra economica, mercoledì scorso. «Vogliamo entrare seriamente nel campo delle professioni», assicurava. Ocse, Fmi, Commissione Ue. «Manca solo la Nato», appunto. «Ma cosa c’entrano con noi?», si chiede Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio nazionale degli architetti.
Il punto è che dopo anni di tavoli, trattative, convegni, protocolli, scontri, ricomposizioni, si ritorna al via. Senza nulla in mano, né a livello di metodo, né di merito. Anzi, con il tavolo del dialogo che in molti giudicano ribaltato.
C’è chi, all’interno del variegato mondo dei professionisti, attribuisce il rovesciamento all’esistenza nel governo attuale di più di una linea. Una sicuramente incarnata, negli ultimi anni, dal ministro della Giustizia Alfano. L’altra rappresentata dalla 'manina' che prima inserisce in manovra l’abolizione di quasi tutti gli Ordini professionali. Poi l’eliminazione dell’esame di Stato per avvocati e commercialisti. Infine, dopo le proteste unanimi e bipartisan, stralcia le norme dal provvedimento economico, minacciando però una legge delega ad hoc. Vanificando così gli sforzi di Alfano, dei tavoli, delle proposte di riforma giacenti nelle commissioni parlamentari. Sul più bello, con la tensione a mille e i cori di 'inaccettabile', il ministro Tremonti fa capire che la delega forse non ci sarà. E si riparte. «Seriamente», dice. Con lo «studio», sentite le organizzazioni internazionali.
«Ma questo significa affrontare la questione solo dal punto di vista economico», esplode Freyrie. «La riforma delle professioni, però, che tutti annunciano ma nessuno fa, riguarda anche la difesa dei consumatori. E lo dice chiaro proprio l’Europa». La riforma dentro la manovra «certo era fuori luogo», ammette Freyrie. «E per questo l’abbiamo contestata. Non ha senso, dopo anni di dibattiti, farla in quattro e quattr’otto così, d’estate». Quasi di soppiatto. «I professionisti, poi, sono i primi a volerla. Noi ne abbiamo bisogno. La aspettiamo da anni. Ma chiediamo di discutere un progetto vero basato su due criteri essenziali: la deontologia e l’utilità sociale dei nostri mestieri, ovvero la difesa dei cittadini e dell’ambiente. Senza queste condizioni, senza un confronto, diffidiamo il governo a varare qualsivoglia riforma».
In fondo, però, l’annuncio di Tremonti è stato anche motivo di sollievo. Per il pericolo scampato. «Dapprima circolava un testo. L’abbiamo letto tutti e ci siamo indignati», racconta Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. «Tariffe minime non obbligatorie, apertura alla pubblicità, praticantato durante la formazione, abolire il numero chiuso. Ma questo lo facciamo già! Non solo. Come commercialisti ci siamo anche uniti con i ragionieri: chi è, oggi, che si unisce? Noi ci siamo già autoriformati. Ma abolire l’esame di Stato per aprire le porte della professioni! Primo, è anticostituzionale. Secondo, più aperti di così! Siamo 112 mila, i più numerosi d’Europa, cinque volte i francesi. E il 40% dei nostri iscritti ha meno di 40 anni. Io non faccio difese corporative, ma evidentemente a qualcuno fa gola il mercato e ci vuole entrare».
I più arrabbiati sono gli avvocati. Lo erano già prima, ai ferri corti con il ministro Alfano anche per l’introduzione della media conciliazione, resa poi obbligatoria. «L’aumento del contributo unificato, imposto in manovra anche per i processi tributari, è un taglieggiamento che rende la giustizia costosa e la allontana dai cittadini», tuona Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua). «Questo è stato un anno disastroso e tragico per la giustizia: indebolire i diritti di accesso vuol dire indebolire gli avvocati. Poi, abolire gli esami di Stato o anche gli Ordini è contro l’articolo 33 della Costituzione. In tutti i sistemi occidentali esistono gli Ordini perché garantiscono la qualità professionale. E poi, cosa significa liberalizzare? Siamo 240 mila avvocati, contro i 47 mila francesi. Più liberalizzati di così! Questa non è una liberalizzazione, ma uno smantellamento della professione, senza un progetto alternativo. Il tentativo, poi, di inserire le norme in manovra è stato un atto di slealtà e scorrettezza di questo governo che contrasteremo in ogni modo. Una pugnalata alla schiena di cui nessuno aveva contezza. In nessuno degli incontri con parlamentari e ministri eravamo stati avvertiti. Qualcuno ha premuto, si vede. A cominciare dalla Confindustria. Ma noi aspettiamo il nuovo ministro della Giustizia e andremo avanti».
|
|
titolo: Il gioco dell'oca del Governo
autore/curatore: Valentina Conte
fonte: La Repubblica
data di pubblicazione: 11/07/2011
tags: ordini, riforma professioni, esame di stato, associazioni professionali
|