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Apprendiamo di una condanna molto pesante (2 anni e 10 mesi di reclusione) che il Tribunale di Ravenna ha inflitto a un professionista per esercizio abusivo della professione di psicologo e per il reato di truffa. Professionista che, in più occasioni, si era presentato ora come “counselor” ora come “life coach”.
Da quelle poche notizie apparse sui giornali è emerso che, nel corso del dibattimento, sono state affrontate tematiche quali l’ipnosi e l’omeopatia. Tematiche che, chiaramente, non riguardano l’attività di counseling.
Siamo consapevoli che si tratta di una condanna di primo grado e che, quasi certamente, la stessa verrà impugnata. Siamo altrettanto consapevoli che, umanamente e professionalmente, un procedimento penale è una vicenda assai complessa e delicata per chi lo subisce. Lungi da noi il dare pareri su un procedimento che non abbiamo seguito e del quale non conosciamo i dettagli, approfittiamo però di questa notizia per ribadire con forza la nostra posizione.
AssoCounseling ritiene che bene fa la Magistratura a perseguire tutti coloro che, a vario titolo, utilizzano il termine counseling in maniera del tutto impropria, esercitando un’attività che con il counseling non ha niente a che fare.
Consapevoli di occuparci di una professione attualmente non regolamentata, il tema dei confini professionali deve essere – non solo da un punto di vista deontologico – seriamente preso in considerazione da tutti i counselor che esercitano e che hanno la possibilità di rifarsi a delle solide linee guida messe a disposizione dalla nostra associazione.
Così come più volte ribadito e così come anche sancito dalla Legge 4/2013 che richiama esplicitamente il Codice del consumo, il nostro faro deve essere la tutela del cliente. AssoCounseling da sempre, in regime di autoregolamentazione e rispondendo ai dettami dei moderni sistemi accreditatori, ha definito l’iter dei percorsi formativi, i requisiti di accesso al percorso di certificazione delle competenze, un codice deontologico e una serie di strumenti (aggiornamento e supervisione permanente) per valutare in itinere la professionalità dei propri iscritti i quali hanno ben chiara la differenza tra la professione di counselor e quella di psicologo.
Auspichiamo che lo Stato italiano prima o poi intervenga orientando noi professionisti attraverso delle linee guida specifiche.
Auspichiamo, infine, che questa sentenza non venga prontamente strumentalizzata, ma che anzi possa aiutare tutti a focalizzare ancora meglio l’obiettivo.
Da una parte che sia di stimolo per il counseling professionale al quale, mai come oggi, serve unità di intenti e di metodo. Dall’altra che sia di stimolo per il mondo della psicologia professionale a comprendere che occorre trovare un punto di convergenza che salvaguardi sia il diritto al libero esercizio del counseling sia la tutela dell’utente finale, nel rispetto delle prerogative delle diverse professionalità.
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titolo: Professionista condannato per esercizio abusivo della professione
autore/curatore: Ufficio Stampa
fonte: AssoCounseling
data di pubblicazione: 11/09/2018
tags: Ravenna, condanna, Tribunale, esercizio abusivo
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